Un tragico evento ha impresso un’enorme accelerazione

Gli eventi degli ultimi due anni sono stati segnati dall’improvvisa comparsa e dall’immediata diffusione del virus noto come Covid-19.  La pandemia ha inflitto durissimi colpi all’economia nazionale di tutti i paesi dell’Occidente e ha costretto la maggior parte dei governi europei ad assumere alcune decisioni molto impopolari con cui libertà e diritti costituzionalmente garantiti, come il diritto al lavoro, hanno subito delle gravi limitazioni allo scopo di tutelare un bene indubbiamente superiore: la salute collettiva. 

Tuttavia, questo tragico evento ha dato un fortissimo impulso a quei processi di trasformazione della pubblica amministrazione in cui il nostro governo ha investito per anni senza averli mai portati a compimento. Stiamo parlando dei processi di digitalizzazione e d’ informatizzazione dei sevizi pubblici. Lo smart working e l’erogazione di servizi essenziali da remoto per proteggere la salute dei cittadini senza bloccare la nostra farraginosa macchina amministrativa erano situazioni quasi sconosciute nel nostro paese prima della pandemia.

Oggi, invece, queste pratiche sono diventate parte integrante della vita di ciascuno di noi, se non in prima persona, almeno in maniera indiretta attraverso le esperienze dei nostri figli che hanno dovuto familiarizzare con la cosiddetta “didattica a distanza” o dei nostri genitori che leggono i risultati dei loro esami di controllo direttamente dal web senza recarsi agli sportelli di cliniche ed ospedali.

A che punto siamo oggi?

Per fornire un quadro semplice e facilmente leggibile dello stato dell’arte ci siamo rifatti ai dati divulgati da uno studio del Politecnico di Milano dello scorso anno. Iniziamo ad affrontare il tema analizzando i dati relativi alle attività produttive. Da questo studio si evince che circa il 35% delle imprese italiane ha già raggiunto uno standard elevato di digitalizzazione sia dal punto di vista delle tecnologie impiegate nei processi produttivi, sia dal punto di vista del capitale umano.

A questa prima categoria si aggiunge un altro 11% d’imprese italiane che hanno già avviato la riforma digitale, approfittando anche degli incentivi statali predisposti con questo scopo. Il rovescio della medaglia, però, è davvero poco incoraggiante: la somma dei due dati che abbiamo appena citato rivela che oltre la metà delle imprese italiane non hanno ancora nemmeno avviato la trasformazione digitale. Le nostre PMI, infatti, dimostrano ancora oggi un atteggiamento conservativo e prudenziale nei confronti dei processi di digitalizzazione che continuano a giudicare un elemento non essenziale per il futuro del loro business.

Gli studi professionali invece hanno performance decisamente migliori: il 25% dei professionisti hanno investito oltre 10 000 euro in tecnologie e attività digitali.  Per farsi un ‘idea della situazione attuale è sufficiente citare un dato significativo e forse anche inaspettato: sul piano della gestione telematica di procedure e della documentazione il nostro paese ha dei risultati migliori della Francia e della Spagna, nonostante gli studi professionali in questi paesi abbiano dimensioni mediamente superiori.

E la pubblica amministrazione? I maggiori progressi compiuti finora in questo settore riguardano la gestione degli open data e delle tecniche per fare proiezione e simulazioni su una grande mole d’informazioni. Da quando il Decreto Semplificazioni ha reso SPID un passaggio obbligato per accedere a bonus e servizi statali (bonus vacanze, servizi sanitari e Inps), le utenze sono cresciute moltissimo: dai 3 milioni del 2019 ai 10 milioni del 2020.

Anche i servizi statali destinati alle imprese hanno raggiunto un buon risultato in termini di digitalizzazione; basti pensare al Registro delle Imprese che è considerato più evoluto di quello tedesco, sebbene la Germania abbia un livello di digitalizzazione complessivo nettamente superiore al nostro.

Ma allora per quale motivo l’Italia non riesce a schiodarsi dalla 25esima posizione su 28 paesi membri dell’UE nella classifica della digitalizzazione?

I peggiori ostacoli alla digitalizzazione

La presenza di ampie aree geografiche non raggiunte né dalla banda larga, né dalla fibra ottica è tra le principali ragioni per cui il processo di digitalizzazione in Italia stenta ancora a decollare.

L’avvento del 5G potrà dare un forte impulso alla connettività e garantire una connessione stabile e veloce anche in zone attualmente scoperte.

Tuttavia, c’è una seconda variabile che gioca un ruolo fondamentale in questo processo: le competenze del capitale umano impiegato nelle attività produttive.

Esistono molte evidenze della scarsa disponibilità nel nostro paese di personale con competenze digitali di base e avanzate e del basso livello d’ integrazione delle tecnologie digitali nei processi organizzativi e produttivi.

Inoltre, l’uso che facciamo dei servizi di internet è decisamente più orientato alle attività ludiche e alle interazioni sui social network, in modo che la maggior parte delle funzionalità rimangano inutilizzate.

Come uscire dall’impasse e cogliere l’opportunità di realizzare finalmente la trasformazione

 Da quanto scritto finora si evince chiaramente che per scalare una volta per tutte la classifica della digitalizzazione in Europa sia necessario compiere una sorta di rivoluzione culturale. Il sistema imprenditoriale dovrebbe compiere un cambiamento epocale nell’approccio alla tecnologia e al digitale, ma, come sappiamo, l’economia italiana si regge soprattutto sulle piccole e medie imprese che, forse proprio a causa delle loro ridotte dimensioni, non sembrano ancora pronte per affrontare queste grandi trasformazioni.

Dopo aver analizzato attentamente la situazione, siamo giunti alla conclusione che la capacità del nostro paese di cogliere un’opportunità di cambiamento come quella offerta dalla pandemia da Covid- 19, dipenderà in gran parte dalla capacità dell’amministrazione centrale di collaborare, da un lato, con tutti i livelli amministrativi locali (Regioni, Province, Comuni, Città Metropolitane…) e, dall’altro, con le associazioni che rappresentano lavoratori, imprenditori e professionisti.

Le associazioni, infatti, sono gli interlocutori principali della forza lavoro nazionale a tutti i livelli e devono interfacciarsi e collaborare a stretto giro con la p.a. per riuscire a realizzare finalmente la semplificazione delle procedure burocratiche e la digitalizzazione dei servizi pubblici.

Allo stesso tempo, però, le imprese dovranno iniziare ad adeguarsi ai nuovi standard e ad integrare le tecnologie digitali nelle loro attività produttive per garantire che il processo sia collettivo e che nessuno resti indietro proprio nel momento in cui si sta affermando un nuovo modello produttivo più snello e più efficiente di quelli precedenti.

È vero: siamo drammaticamente in ritardo rispetto all’iter stabilito dal governo centrale e la lentezza con cui stiamo affrontando questo lungo e difficile cammino è davvero sotto gli occhi di tutti. Tuttavia, dobbiamo riconoscere che il cambiamento è già in atto: oggi infatti il diritto ad accedere a procedure pubbliche digitalizzate e semplificate ci viene riconosciuto per legge.  Si tratta di un mirabile esempio di “diritto negato” poiché gli attuali standard di digitalizzazione nella p.a. non ci consentono ancora di goderne a pieno, ma è pur sempre un diritto formalmente riconosciuto a ciascuno di noi.

Se vuoi scoprire come digitalizzare la tua pmi non esitare a contattarci, i nostri tecnici ti guideranno e supporteranno in questo indispensabile cammino.